Ti stimolo a ricordare quante volte hai detto a te stesso «non ce la faccio, ho troppa paura» Sono certa che te le ricordi bene adesso che ti ho lanciato il promemoria. E sono altrettanto certa che forse non hai pensato invece a tutte quelle situazioni in cui avevi paura ma sei andato avanti lo stesso.
C’è un momento pieno di coraggio che sta proprio nell’attimo in cui decidiamo di andare oltre le nostre paure, come fosse un ponte immaginario che appare di fronte a noi, fatto di fede ferma e certezza incrollabile che tutto andrà nel migliore dei modi. Magari c’è ancora in lontananza l’eco del «non ce la faccio, ho troppa paura» ma a quel punto il cammino è iniziato e non rimane che proseguire, un passo alla volta.
Da dove nasce la paura di non farcela? Ci viene offerta dal mondo degli adulti quando siamo ancora piccoli. I loro personali non ce la faccio arrivano a di noi come fossero imperativi che da grandi useremo in due modi: per restare immobili di fronte al cambiamento e generare lamento e sofferenza o come sfide che stimoleranno il coraggio per superare i limiti che crediamo di avere.
I cambiamenti trasformano letteralmente la nostra vita: alcuni sono così repentini da spaventarci a tal punto che perdiamo il senso di chi siamo. La nostra identità costruita intorno a una roccaforte fatta di convinzioni e momenti che diamo per scontati, viene improvvisamente scossa dal terremoto del cambiamento. Tutto intorno a noi crolla e ci ritroviamo in mezzo alle macerie, seduti a terra pieni di polvere e con il nulla intorno, anche il più forte potrebbe pensare di non farcela.
Ma c’è una domanda alla quale far riferimento proprio in quei momenti destabilizzanti «Se non avessi paura, in questo momento cosa farei?». Lasciarci ispirare da questa domanda può aiutarci a moderare la paura mettendoci nella condizione di spingerci oltre il non ce la faccio, iniziando ad apprezzare l'esistenza nella sua interezza.
Gli scossoni che a volte ci dà la vita sono inevitabili. Possiamo cercare di scansarli, ma non sempre riesce ed è anche molto faticoso. Possiamo scegliere invece di usarli per risvegliare nuove visioni e talenti assopiti, una scelta che ci invita a progredire riempiendo i nostri occhi di speranza per ciò che sarà.
A volte non abbiamo idea di dove stiamo andando pur avendo obiettivi certi, ben strutturati, scritti a modo e che seguono tutti i canoni universali. Non sappiamo quali saranno i non ce la faccio che incontreremo, e se succederà potremo pensare ad essi in due modi: come a una sventura oppure a un momento di riflessione. Entrambi i modi sono corretti perché porteranno a un risultato. Dobbiamo solo scegliere sul momento qual è il più conveniente per noi, perché lì sta la differenza tra avere ragione o essere felice.
«E se provassimo per un attimo a considerare la fine di qualcosa come fosse un nuovo inizio?»
Capita spesso di sentir dire questa frase ma a volte manca la motivazione a crederci davvero, perché ci vuole una profonda comprensione e tanta tanta esperienza prima che possa diventare uno stile di vita.
Prendendo ispirazione dal personaggio di Ridolino del libro «Chi ha spostato il mio formaggio?», vi invito a scrivere su un foglio «Se non cambi, rischi di scomparire». Tenete il foglio con voi per l’intera giornata e scrivete tutte le volte che si attiva il vostro non ce la faccio, verificando cosa accade.
Il personaggio del libro aveva imparato qualcosa di molto utile dai suoi amici riguardo a come andare avanti. Loro mantenevano la vita su due livelli semplici: non analizzavano le cose in maniera eccessiva, né le rendevano più complicate del dovuto. Quando la situazione cambiava e il formaggio all’interno del labirinto veniva spostato, si lasciavamo ispirare dal cambiamento spostandosi col formaggio: e lui se lo ricordava bene. Aveva capito che il modo più veloce per cambiare era ridere della propria follia, e la risata cancellava istantaneamente i suoi non ce la faccio.
Stasera prima di addormentarti passa in rassegna la tua giornata per accorgerti di quante cose hai fatto. Pensa a cos’hai ricevuto, a cosa invece hai dato, e a chi hai causato problemi o difficoltà. Muove molte emozioni e scuse rispondere a quest’ultima domanda perché quando siamo di fronte a un problema o a un inconveniente, spesso non ci accorgiamo di esserne la causa. E se lo facciamo pensiamo che sia stato un incidente oppure «non volevo, ma è andata così».
Quanto siamo presuntuosi nel credere di conoscere la nostra vita, o addirittura la vita degli altri. Tutto ciò che veramente sappiamo è una copia modificata e ristretta di quello che siamo veramente. Crediamo che l’imperfezione sia qualcosa da bandire, eppure in tutti i nostri non ce la faccio possiamo incontrare parti di noi che neppure immaginavamo.
Quanto più non ce la faccio superiamo, tanto più vicino arriviamo all’originale, tanto più comprenderemo che in verità tutto è possibile.
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