La radice della parola cura deriva dal latino ku-/kav - osservare - che può essere messa a confronto con il sanscrito kavi - saggio. Che accoppiata vincente! Mi piace unire le due derivazioni, confrontarle e far nascere la mia personale definizione di cura: osservare con saggezza. C’è una profondità, una spiritualità che va osservata con molta attenzione quando si parla di cura e che non coinvolge solo gli altri.
Nel prenderci cura di loro ci stiamo prendendo cura di noi stessi
Prima di questa riflessione, accudire gli altri era per me occuparmi di loro imbeccandoli, mostrandomi disponibile e a volte sostituendomi, nella speranza che potessero in qualche modo riconoscere il mio valore. L’errore - perché di errore di tratta – l’ho compiuto molte volte soprattutto nelle relazioni. Al pari di una mamma permettevo agli altri di caricare sulle mie spalle ciò che avrebbero potuto portare da soli, nella speranza di ricevere un po’ di quel valore che stavo cercando. Mi sembrava normale agire in questo modo per due importanti motivi: non conoscevo altri modi e non stavo mettendo in connessione il mondo con la spiritualità.
Qual è stata la svolta? Il notare quanto sacrificio c’era in ciò che chiamavo cura. Questo aspetto non lo avevo preso in considerazione, anche se sentivo profondamente la fatica in certe occasioni. Qualcuno poi mi ha spiegato che se vogliamo davvero entrare a contatto con la spiritualità, dobbiamo sviluppare la gioia per ogni cosa, perché è lì – nella gioia - che si manifesta in tutto il suo splendore.
Nell’accudimento inconsapevole invece, viene meno quell’attenzione saggia che ci aiuta a vedere oltre il bisogno dell’altro, perché è lì che scopriamo un nostro personale bisogno, un dare per avere in cambio esattamente quello che ci aspettiamo. Siamo affamati di amore e siamo disposti ad averlo a qualunque costo: e a volte il prezzo è davvero molto alto.
La cura espressa nella sua forma più nobile e consapevole è spiritualità allo stato puro: dunque gioia allo stato puro! È tuttora sfidante e a volte faticoso osservare con saggezza la situazione che sto vivendo, perché la vita non perde mai l’occasione di tenerci in allenamento
Così, a un certo punto, ho smesso di fare la mamma e sono entrata nelle vesti di madre per imparare cosa significa davvero avere cura. Ti spiego meglio. C’è una differenza tra mamma e madre. Mamma è chi si preoccupa e ti dice cosa dovresti fare per essere felice e ti invita a farlo, altrimenti chissà cosa potrebbe succedere! La madre ti aiuta a fare da solo. Quando conosciamo le due entità, possiamo mettere a riposo la mamma e permettere alla madre di osservare con saggezza, comprendere il reale bisogno dell’altro e poi essere d’aiuto sostenendolo nel manifestare la sua personalità per risolvere la questione.
La madre non dirà mai: «Lascia che faccio io!» Tuttalpiù potrà dire: «Vieni che lo facciamo insieme» stimolando, mostrando, trovando il modo per sostenerti affinché tu possa trovare la ‘tua’ soluzione. Naturalmente potete sostituire la parola madre con padre che la storia è uguale.
Mettersi al posto degli altri è renderli nostri schiavi dimenticando che lo diventiamo noi stessi
Un’ultima cosa prima di salutarci e mi rivolgo a voi, amiche mie che state leggendo. Quante volte siete state mamme nelle vostre relazioni anziché madri? Riflettete, perché lì potrete trovare la chiave per aprire una porta e cominciare a prendervi cura di voi, prima di tutto.
Ci sono vari modi per prendersi cura di una persona. Le puoi chiedere se ha mangiato, se è coperta abbastanza, se ha dormito. Oppure, puoi domandarle, se è felice, se ha pianto, se ha ancora il cuore spezzato e ha bisogno d'aiuto. Sono sempre solo parole, ma le prime accudiscono il corpo, le seconde nutrono l'anima (Paola Felice)