Siamo sicuri di avere sempre tutti gli elementi per giudicare? Siamo certi di conoscere il pensiero che ha spinto una persona a compiere una determinata scelta? Cosa guardiamo davvero degli eventi? Molto spesso solo ciò che è evidente ai nostri occhi e alle nostre orecchie, spesso ciò che ci è stato raccontato da estranei ai fatti. Da quel punto di partenza nascono le considerazioni e i giudizi di condanna.
Mi domando cosa accadrebbe se andassimo dietro agli eventi, dentro alla singola vita di ogni persona coinvolta. È impegnativo e soprattutto nessuno ce lo insegna, perché guardare con gli occhi dell’anima e in assoluto silenzio, senza quella voce giudicante che cantilena: «Io sono meglio di te – Io non l’avrei fatto – Io non mi sarei comportat* così» necessità di un ingrediente fondamentale: conoscere sé stessi.
Si comincia dai noi esprimendo la volontà di farlo e all’inizio è come retrocedere nell’esperienza domandandosi per ciascuna quale sia lo scopo, il vantaggio, l’utilità di quello che è successo. Penserai che non ha nessun significato ciò che stai leggendo: un episodio “negativo” è un episodio “negativo” e i fatti parlano chiaro. Eppure c’è un altro modo che possiamo adottare per comprendere un po’ più a fondo: la compassione.
Col tempo questa nobile parola di grande unione ha perso il suo aspetto originale per prendere una forma basata sul concetto di pietà, che è più vicina al disprezzo se la indaghiamo a fondo. Eppure le radici del suo significato originale sono così profonde da toccare l’anima.
La compassione è la partecipazione alla sofferenza dell'altro. Non un sentimento di pena che va dall'alto in basso. Si parla di una comunione intima e difficilissima con un dolore che non nasce come proprio ma che, se percorsa, porta ad un'unità ben più profonda e pura di ogni altro sentimento che leghi gli umani. È la manifestazione di un tipo di amore incondizionato che strutturalmente non può chiedere niente in cambio (dal web)
Questo è il principio per una comunione autentica che non include solo la sofferenza ma anche i momenti di gioia. Cosa provocherà in noi questo cambio di percezione? La possibilità di sospendere il giudizio che porta dritto nella sofferenza e nel rancore che logora e ci chiude nella gabbia della rabbia e della paura, per procedere in avanti, verso nuove esperienze consapevoli.
Sono passi che vanno compiuti al rallentatore poiché il cammino è stretto, insidioso e ad ogni angolo c’è una voce che sussurra di tornare indietro perché se vai oltre dimenticherai e perderai quel piccolo spazio di libertà che ti sei guadagnato per diventare migliore degli altri.
La vera questione è sempre e solo la separazione, che è la causa di ogni conflitto. Se tolgo ossigeno al fuoco, smetterà di bruciare, ma se ci soffio sopra, divamperà inglobando ogni cosa intorno. L’ossigeno che diamo per mantenere vivo un conflitto – interno o esterno - un ricordo che ci fa soffrire, un giudizio di condanna, è il nostro. L’energia che consumiamo è la nostra e la regaliamo a un episodio che deve essere in qualche modo lasciato andare se vogliamo continuare a respirare.
Ecco che nella vera espressione della compassione, troviamo la soluzione. Vince sempre chi trova una via d’uscita per entrambe le parti, un accordo che possa generare unione anziché separazione
Puoi allenarti alla compassione cominciando da te. Entra nel profondo del tuo cuore e osserva se c’è un piccolo tormento, una piccola paura, un leggero risentimento che ancora affiora. Non scacciarlo! È giunto il momento di accoglierlo, se ti va. A questo sentimento che ancora ti fa soffrire, puoi dire: «Ti riconosco, ti accolgo e ti dico sì» e senti vedi e percepisci cosa accade.
Ogni giornata non avviene in maniera casuale. È stabilita da ciò con cui scegliamo di viverla. Oggi, se ti va, scegli la compassione e applicala partendo da te.
La tua SpiritualCoach®